Articolo a cura dell’avv. Gianni Mancini pubblicato nel periodico dell’Ordine degli Avvocati di Pesaro n. 1/2008
L’azione collettiva risarcitoria, introdotta nel nostro ordinamento dall’art. 2, comma 446, legge fin. 24 dicembre 2007, ha aperto tra i cultori del diritto consumeristico un ampio dibattito nel corso del quale non sono mancate severe prese di posizione verso uno strumento processuale giudicato inadeguato a garantire una sostanziale ed effettiva tutela di consumatori e utenti.
A ben vedere, il legislatore ha messo a punto una procedura nuova, contraddistinta da passaggi inutili e defatigatori, ampliando il già sovrabbondante catalogo dei riti speciali nell’ambito del processo civile.
Tralasciando, per ovvi motivo di spazio, qualsiasi approfondimento in ordine ai soggetti legittimati a promuovere l’azione collettiva e ad altri aspetti non meno rilevanti che riguardano la fase introduttiva della procedura, in realtà essa si risolverebbe, sempre e senza eccezione, in una azione di mero accertamento senza alcuna possibilità di ottenere, all’esito del giudizio, una pronuncia di condanna nei confronti dell’impresa convenuta.
Con la sentenza di accertamento favorevole alla classe che ha promosso il giudizio, il tribunale determina i criteri in base ai quali liquidare la somma da corrispondere o da restituire a ciascun consumatore o utente. All’impresa, sia pure nei limiti stabiliti dal giudice, è riservata in sostanza ampia discrezionalità nel definire il risarcimento o il rimborso a favore degli aventi diritto. La proposta dell’impresa deve essere comunicata, con atto sottoscritto, a ciascun partecipante e depositata presso la Cancelleria del tribunale entro 60 giorni dalla notifica della sentenza. Se l’impresa non comunica la proposta nel termine indicato o non vi è stata accettazione entro sessanta giorni dalla comunicazione della stessa, il presidente del tribunale costituisce apposita camera di conciliazione per la determinazione delle somme da corrispondere a coloro che hanno aderito o sono intervenuti nella procedura e che ne fanno domanda (entro quale termine e con quali modalità non è dato sapere).
La camera di conciliazione – che qualcuno con sottile ironia ha ribattezzato “camera di transazione – è composta da un avvocato indicato dai promotori dell’azione collettiva e da un avvocato indicato dall’impresa convenuta ed è presieduta da un avvocato nominato dal presidente del tribunale tra gli iscritti all’albo speciale per le giurisdizioni superiori.
La camera di conciliazione provvede a determinare i modi, i termini e l’ammontare da corrispondere ai singoli consumatori. Il verbale di conciliazione costituisce titolo esecutivo.
In alternativa, le parti possono chiedere al presidente del tribunale la composizione non contenziosa mediante le procedure conciliative previste dagli artt. 38 e segg. D. L.vo 17 gennaio 2003 n. 5.
Così impostata, l’azione collettiva risarcitoria, in nulla affine alla class action del diritto statunitense, è sofisticato strumento ibrido, bicefalo, semigiurisdizionale e semiconciliativo, di cui l’esperienza applicativa potrebbe decretare l’inesorabile bocciatura.
Nell’imminenza di inviare alle stampe il presente numero del notiziario, giunge tuttavia notizia del probabile rinvio dell’entrata in vigore dell’art. 140 bis c.d.c., con eventuali modifiche, al 1° gennaio 2009.